La parola Hikikomori in giapponese significa “stare in disparte”. E’ stata utilizzata per la prima volta da Tamaki Saito, studioso giapponese del fenomeno, nel 1998. Viene utilizzata per indicare tutte quelle persone che scelgono di escludersi volontariamente dal mondo sociale esterno, rinchiudendosi nelle proprie stanze, isolandosi da tutto e tutti per lunghi periodi di tempo. Le persone che si riconoscono in questa condizione, sono spesso maschi, giovani, di classe sociale media, con un buon livello di intelligenza. Inizialmente questo fenomeno è stato legato esclusivamente alla cultura giapponese, ma più recentemente si è notato come si possano riconoscere molti casi anche in altre parti del mondo, tra cui l’Italia.

Che cosa spinge allora questi ragazzi a sparire dal mondo e a rintanarsi nella propria cameretta? Nella definizione di Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione “Hikikomori Italia”, il ritiro sociale è da leggersi come una reazione alle forti pressioni di realizzazione sociale che emergono dalla nostra società capitalistica. Le richieste sulle nostre spalle sono effettivamente tante: devi essere bello, magro, simpatico, intelligente, devi laurearti, trovare un buon lavoro, sposarti, fare dei figli, avere una macchina…Insomma, richieste pesanti per tutti, ma per qualcuno diventa davvero troppo. In particolare, nella loro storia troviamo più frequentemente alcune esperienze, che sembrano essere le più diffuse tra questi ragazzi: gli insuccessi scolastici, il bullismo e i conflitti tra coetanei. In particolare emerge un forte disagio nelle relazioni sociali e una visione negativa della società di appartenenza, mista alla sensazione di non volerne fare parte. Ecco allora che si inizia ad isolarsi sempre di più, a trovare sempre più scuse per non uscire, per non andare alle feste e poi piano piano per non andare più a scuola o a lavoro. Il mondo inizia a stringersi sempre di più, ad avere degli spazi ben delimitati, come possono essere le mura della propria cameretta. Lì dentro ci si può nascondere da quel mondo percepito come sbagliato, senza il rischio di fallire o di fare figuracce.

Il bisogno di socialità però, almeno inizialmente, non viene semplicemente eliminato, ma viene mediato attraverso un mezzo ormai molto presente nelle nostre vite: internet. Questi ragazzi scelgono infatti di soddisfare il loro bisogno di socialità utilizzando in particolare le chat online, i forum di confronto e le game community. La loro presenza online diventa via via più massiccia, con l’avanzare dell’isolamento. La socializzazione virtuale, per quanto non fisica, rimane comunque un modo per non alienarsi completamente dal mondo e di confrontarsi con ragazzi con caratteristiche comuni, cosa che può invece non avvenire nello stadio più grave dell’isolamento, dove gli hikikomori staccano ogni connessione dal mondo.

Gli hikikomori, nell’immaginario comune, vengono spesso visti come ragazzi con una dipendenza da videogiochi. In realtà questo non è del tutto vero. Questi ragazzi infatti fanno spesso un utilizzo del videogame in senso “sociale”, utilizzando quindi il mezzo come mediatore per parlare con gli altri e far parte di una comunità. Per molti di loro la presenza online e l’utilizzo del videogioco è una forma di intrattenimento e di comunicazione col mondo esterno, e privarli di ciò rischierebbe solo di aumentare il vuoto che provano. Allo stesso modo, il binge watching di serie tv (in particolare anime) si colloca nell’ottica di distrarsi da ciò che si prova e dai problemi della propria vita.

Le famiglie in tutto questo si trovano a confrontarsi con una problematica molto complessa: un figlio, il più delle volte intelligente e capace e su cui magari si erano riposte molte aspettative e fantasie, che sceglie di abbandonare tutto e chiudersi in una stanza. A nulla valgono le minacce e le pressioni, se non ad alimentare rabbia e aggressività.

Il ritiro sociale non è presente nel DSM V, pertanto non è classificabile come una psicopatologia. Nonostante ciò è fondamentale una buona diagnosi differenziale, in modo da capire se ci siano problematiche primarie all’isolamento. Per questo è molto importante rivolgersi a professionisti competenti in materia, così da ricevere, oltre alla diagnosi, un sostegno sia per il ragazzo che per la famiglia.

Autore: Dott.ssa Giorgia Bosco

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